Prime immagini, news e info su Tomb Raider 9

Le lacrime di Lara Croft e il nuovo volto di Tomb Raider


L’eroina digitale nata nel ‘96 torna in un’avventura sorprendente. La discesa agli inferi in un’isola alla Lost non lontano delle coste giapponesi. “E’ giovane, umana, fragile”, racconta il produttore del videogame

Il freddo, la pioggia, il vento. E un’isola maledetta, un tempo capitale del regno di Yamatai retto dalla regina bella e terribile Himiko. Il nuovo Tomb Raider, nei negozi per Ps3 e Xbox 360 dal 5 marzo, è un viaggio cupo dove si alternano la speranza e la disperazione. Una discesa agli inferi che oscilla fra gli archetipi di Lost e i luoghi oltre i confini del mondo di Apocalypse Now. Un videogame raro, per la qualità e la varietà di emozioni e sentimenti che mette in scena.
Ma soprattutto c’è la nuova Lara. Giovane, vulnerabile e alle prime armi. Incespica, si spaventa, piange come qualsiasi essere umano quando è messo davanti a prove e orrori troppo grandi. Non proprio una banalità trattandosi di un videogame, dove i sentimenti sono un tabù. “Questo è un gioco che ha una parte emotiva forte”, spiega Ron Rosemberg, il produttore, una delle anime di questo videogame della Cristal Dynamics. Un omone dalla sguardo gentile con sedici anni di esperienza alle spalle. “Lara non è una semplice eroina digitale”, continua. “E’ sempre un’archeologa (aspirante), è sempre in grado di triarsi fuori da situazioni difficili. Ma è umana e questo significa vulnerabile”.
Un bel modo per tentare di uscire dal viale del tramonto. Dopo il clamore delle prime quattro avventure fine anni Novanta, questa è la undicesima, le avventure di Lara si son fatte sempre più discutibili e ripetitive. Malgrado, o forse anche grazie, i film con Angelina Jolie. E ora, con questo Tomb Raider, vorrebbe trovare uno spazio fra quella manciata di titoli che ancora contano. Gli unici che vendono. Non è la prima volta che ci prova, ma è la prima volta che ha qualche chance di riuscirci.
“Certo, abbiamo guardato a Lost, abbiamo attinto a decine di documentari e libri d’avventura”, racconta il produttore. “Ma alla fine è una storia unica”. Meglio: è un film che cresce gradualmente seguendo l’evoluzione di una ragazzina che finirà per diventare un’adulta. Altra rarità, perché in genere i personaggi dei videogame finiscono come hanno iniziato, con lo stesso tono e la stessa espressione anche se son sopravvissuti a conflitti planetari.
Partita con una spedizione archeologica sulle tracce di Himiko e del regno di Yamatai, Lara azzarda e convince gli altri ad entrare nel Triangolo del Drago. Un fazzoletto di mare al largo delle coste giapponesi dal quale è meglio tenersi alla larga. “Perché quello delle Bermuda al confronto è Disneyland”, fa notare un suo compagno. Il naufragio, poi l’arrivo fortunoso sull’isola, la scoperta che è abitata da un gruppo di persone ostili. Molti dei motivi che hanno spinto i membri della spedizione a rischiare tanto li intuiremo dai dialoghi e da alcuni video. Lara, arrivando sulla spiaggia, ha ritrovato la telecamera di una collega che ha filmato il viaggio. E come in Cloverfield, quelle sequenze, quei ricordi, diranno molto di tutti loro.
Perfino certe meccaniche classiche dei videogame, la possibilità di migliorare le armi o affinare le abilità di Lara, sono usate con coerenza senza esagerare. Non tutto è perfetto e non tutto torna, le munizioni sparse in giro ad esempio in una storia così adulta stonano. Ciò nonostante questo è il miglior Tomb Raider dopo quello del 1996. O quantomeno il più raffinato, il più coraggioso, costruito con un mestiere che sorprende. Ben più maturo di titoli alla Uncharted che tanto devono a Lara e ai suoi giochi. “Ci è stato chiesto di puntare alla qualità, è quello che abbiamo cercato di fare”, conclude Rosemberg. Che basti o meno per un posto al sole è difficile dirlo. Ma che “appena” ottanta persone, rispetto ai team mastodontici di Assassin’s Creed o Call of Duty, siano riuscite a fare tanto è già un gran bel risultato.
Il freddo, la pioggia, il vento. E un’isola maledetta che tanti hanno cercato a lungo. La capitale di un regno misterioso chiamato Yamatai, retto secoli fa da una regina bella e terribile di nome Himiko. Il nuovo Tomb Raider, nei negozi per Ps3 e Xbox 360 dal 5 marzo, è un viaggio cupo dove si alternano speranza e disperazione. Discesa agli inferi che oscilla fra gli archetipi di Lost e i luoghi oltre i confini del possibile di Apocalypse Now. Ma soprattutto c’è la nuova Lara. Giovane, vulnerabile e alle prime armi. Incespica, si spaventa, piange, come qualsiasi essere umano messo davanti a prove e orrori troppo grandi. Trattandosi di un videogame, dove i sentimenti in genere sono un tabù, non è una banalità.

“Questo è un gioco che ha una parte emotiva forte”, spiega Ron Rosemberg, il produttore, una delle anime del videogame della Cristal Dynamics. Un omone dalla sguardo gentile con sedici anni di esperienza alle spalle, che sembra credere molto in quel che dice e in quel che ha fatto negli ultimi tre anni. “Lara non è una semplice eroina digitale”, continua. “E’ sempre un’archeologa, è sempre in grado di tirarsi fuori da situazioni difficili. Ma è umana, dunque vulnerabile”.

Uno dei tanti modi possibili per tentare di uscire dal viale del tramonto. Dopo i primi quattro episodi fine anni Novanta, questa è l’undicesimo, le avventure di Lara si son fatte sempre più discutibili e ripetitive. E i film con Angelina Jolie non hanno aiutato. Ora, con questo Tomb Raider, Lara vorrebbe trovare uno spazio fra quella manciata di titoli che ancora contano. Gli unici che vendono. Non è la prima volta che ci prova, ma è la prima volta che ha qualche chance di riuscirci.



“Certo, abbiamo guardato a Lost, abbiamo attinto a decine di documentari e libri d’avventura”, ammette il produttore. “Ma alla fine il risultato è una storia unica”. Meglio: è un film che cresce gradualmente seguendo l’evoluzione di una ragazzina che finirà per diventare un’adulta. Altra rarità, perché in genere i personaggi dei videogame finiscono come hanno iniziato, con lo stesso tono e la stessa espressione anche se son sopravvissuti a conflitti planetari.

Partita con una spedizione archeologica sulle tracce della splenda e terribile Himiko, e del regno di Yamatai, Lara azzarda e convince gli altri ad entrare nel Triangolo del Drago. Un fazzoletto di mare al largo delle coste giapponesi dal quale è meglio tenersi alla larga. “Perché quello delle Bermuda al confronto è Disneyland”, fa notare un suo compagno. Il naufragio, poi l’arrivo fortunoso sull’isola, la scoperta che è abitata da un gruppo di persone ostili. I motivi che hanno spinto i membri della spedizione a rischiare tanto, li intuiremo dai dialoghi e da alcuni video. Lara, arrivando sulla spiaggia, ha ritrovato la telecamera di una collega che ha filmato il viaggio in nave. Le pause, le chiacchierate, la vita quotidiana a bordo. Come in Cloverfield quelle sequenze, anzi quei ricordi, diranno molto di tutti loro e dei loro segreti.



Perfino certe meccaniche classiche dei videogame, la possibilità di migliorare le armi o affinare le abilità di Lara, sono usate con coerenza. Non tutto è perfetto e non tutto torna, le munizioni sparse in giro ad esempio in una videogame così reale suonano posticce, ciò nonostante questo è uno dei migliori Tomb Raider visti fin ora. Di certo il più raffinato e il più coraggioso. Al confronto Uncharted, che tanto deve a Lara e ai suoi giochi, appare guascone e immaturo per certi versi. “Ci è stato chiesto di puntare alla qualità, è quello che abbiamo cercato di fare”, conclude Rosemberg. Difficile dire se basterà o meno per ottenere un posto al sole. Ma che “appena” ottanta persone, rispetto ai team mastodontici di Assassin’s Creed o Call of Duty, siano riuscite a fare tanto è già un gran bel risultato.